Tratto dal libro La Legge mancino di mda, copio alcune parti
27maggio1993:
MARCO TARADASH. Signor Presidente, colleghi, è stato deciso di trasformare in decreto-legge un disegno di legge che era già in discussione presso la Commissione giustizia della Camera perché il Governo ha ritenuto che i tempi sarebbero stati troppo lunghi. • Io non sono d'accordo sulla
motivazione che ha portato alla trasformazione in decreto-legge del disegno di legge. In realtà anche all'interno della Commissione giustizia vi era un largo accordo sul fatto che il problema non era tanto quello di emanare nuove leggi, quanto quello dell'applicazione delle norme esistenti: quindi un problema di polizia e forse anche di magistratura. Si era ritenuto che convenisse forse unificare varie norme in un solo disegno di legge per far conoscere ai magistrati un testo che probabilmente la maggior parte di essi non aveva letto e che di conseguenza non poteva essere offerto alla cosiddetta obbligatorietà dell'azione penale. Il Governo ad un certo momento, prendendo spunto da un episodio di violenza razzista verificatosi a Roma, ha deciso di accelerare i tempi con il decreto-legge. Allora, se questa è la regola, il Parlamento in pratica deve servire soltanto a discutere decreti-legge, dobbiamo ritenere che in questo paese si possa governare soltanto in quel modo e che, di conseguenza, si passerà a questo modello, diverso dal modello costituzionale. Non mi sembra che vi siano ancora i presupposti per assumere una decisione in tal senso. A mio avviso la motivazione ad- dotta dal Governo (secondo cui troppo lungo sarebbe stato il decorso della discussione all'interno della Commissione giustizia della Camera) non è sufficiente a far valere l'articolo della Costituzione che permette la formazione della volontà attraverso i decreti- legge. Il nostro gruppo voterà quindi contro la sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza
8 giugno1993:
MARCO TARADASH. Signor Presidente, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che ha la forma del decreto-legge. Il nostro gruppo ha votato contro il riconoscimento dei requisiti costituzionali di questo testo perché ci sembrava davvero stravagante che misure in materia di discriminazione razziale etnica o religiosa potessero essere ritenute urgenti in relazione alla situazione del nostro paese. Non mi sembrava che in realtà questa urgenza vi fosse ed in generale mi pare che leggi che prevedano modificazione dei codici penali dovrebbero essere sottoposte al Parlamento in forma diversa. Al di là di questo, però, occorre valutare l'opportunità di misure come quelle in esame qualora non si accompagnino ad un tentativo complessivo di comprendere quello che sta succedendo e di dare risposte adeguate. Mi riesce difficile, ad esempio, comprendere come noi possiamo discutere un provvedimento che nelle intenzioni del Governo va a vantaggio degli extracomunitari, oltre che di coloro che sono vittime dell'antisemitismo, nello stesso momento in cui un altro decreto-legge firmato dagli stessi ministri propone misure contro gli stessi soggetti extracomunitari, sottraendoli all'applicazione delle normali regole dello Stato di diritto e prevedendo l'espulsione per coloro che siano soggetti ad imputazioni o siano indagati o incarcerati anche per reati di pochissimo danno sociale. Sono due cose che a mio avviso non stanno insieme. Bisogna scegliere: o la strada dell'integrazione nei diritti, o invece quella dell'aumento delle differenze e quindi anche del senso di superiorità da parte di coloro che godono dei diritti rispetto a quelli che ne sono esclusi. Per creare il razzismo sono necessari due elementi: un senso di superiorità ed uno di inferiorità. Ciò che genera tali elementi sono le leggi che tolgono diritti invece di attribuirne. Credo quindi che i due provvedimenti che ho ricordato siano contraddittori. Cercare di salvare per via di legge ciò che invece si inserisce nella società per via di pratica è uno sforzo inutile e destinato al fallimento. Non sarà l'aumentare una pena o creare una nuova fattispecie di reato ad evitare l'insorgenza di fenomeni di razzismo o di ostilità verso coloro che dalle stesse leggi sono classificati come diversi poiché ad essi non si consente di godere dei diritti di
cui gli altri usufruiscono. Attendiamo ancora di vedere gli extracomunitari integrati nel nostro paese, che pagano le tasse, che hanno la residenza, che possono votare alle elezioni per il sindaco e per i consigli comunali. Cerchiamo invece di scaricare il nostro paese dal peso eccessivo dell'emigrazione attraverso norme che colpiscono a casaccio: è un comportamento sbagliato, che certamente non va nella direzione delle misure che oggi ci vengono sottoposte per cercare di evitare fenomeni violenti di discriminazione razziale, etnica o religiosa. Detto questo come premessa, ed esprimendo quindi una grande perplessità sulle reali intenzioni di questo Governo rispetto ai fenomeni che abbiamo davanti, vorrei entra- re rapidamente nel merito delle diverse disposizioni. Il decreto-legge riprende ed organizza meglio (nelle intenzioni) leggi che erano già presenti nel nostro ordinamento e che a mio parere avrebbero potuto essere rispolverate — nel senso di togliere loro la polvere che evidentemente aveva ricoperto i libri nei quali erano contenute — e riportate alla luce. Ciò avrebbe potuto essere utile per le decisioni dei magistrati e per gli atti delle forze dell'ordine. Vi sono leggi — come quella che recepisce la convenzione di New York, la n. 654 del 1975 — che sarebbero state senz'altro sufficienti, credo, ad impedire la crescita di organizzazioni e movimenti di carattere antisemita o razzista. Sarebbe bastato che le polizie italiane conoscessero queste norme e che qualche magistrato ne sollecitasse l'applicazione perché certi covi che oggi nel nostro paese si tende a chiudere non avessero neppure la possibilità di nascere. Si cerca invece di organizzare tutta la materia in un unico decreto, forse per portare alla conoscenza dei magistrati e delle forze dell'ordine le norme già esistenti. Ma si aggiunge qualcosa di più: si aumentano le pene. Condivido le preoccupazioni, già espresse in quest'aula, di chi ritiene che l'incremento delle pene non serva assolutamente a nulla se si vuole contrastare un fenomeno: quello che serve è la certezza della pena, che — come nel corso degli anni abbiamo verificato — non è affatto garantita. Non serve minacciare a voce più alta quando vi sia un'abitudine consolidata a non far seguire le azioni alla minaccia. Oltre tutto pene tanto elevate rispetto a reati disomogenei finiscono anche per creare difficoltà di applicazione. È già stato notato: riesce arduo comprendere come possano essere riunite nella fattispecie di imo stesso tipo di reato e nel medesimo quadro di pene le ipotesi di diffusione di idee e quella di istigazione alla violenza o all'omicidio: sono fattispecie diverse che meriterebbero una differente trattazione. Le disposizioni di prevenzione, oltre ad essere pericolose di per sè, possono anche essere troppo largamente utilizzate a seconda delle circostanze. In questo paese, fra l'altro, non abbiamo ancora ben capito verso quale periodo politico ci avviamo. Nell'articolo 2, per esempio, si prevedono misure nei confronti di coloro che «compiano atti obiettivamente rilevanti in ragione dei quali debba ritenersi che facciano parte delle organizzazioni ...». Mi sembrano formule veramente pericolose, che si prestano a qualsiasi arbitrio e che possono legalmente consentire l'applicazione di disposizioni di prevenzione un po' a mezzo mondo. Chi è, infatti, che «deve ritenersi» far parte di organizzazioni o di altri gruppi? O le persone ne fanno parte o non ne fanno parte: nel primo caso scattano altre misure, ma, se manca un riscontro obiettivo per la partecipazione ad azioni che vengono colpite dalla legge, dare tutta questa possibilità di intervento alle forze di polizia mi sembra in generale pericoloso ed anche a mio parere inutile rispetto agli obiettivi del decreto. Vi sono altre questioni. L'articolo 4 introduce pene (ne ha parlato l'onorevole Caradonna, a suo modo) per chi esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo. Proprio in queste elezioni abbiamo visto che si è presentata la lista «Fascismo e libertà». Quale paese può prevedere pene gravissime per l'esaltazione del fascismo e al tempo stesso consentire, in piena legittimità, la presentazione di una lista denominata «Fascismo e libertà»? Allora, Caradonna, nazismo e ebraismo, da Nicea a Nietzsche; possiamo fare veramente di tutto. L'applicazione delle leggi in questo paese non ha senso rispetto alle intenzioni delle leggi stesse. Nell'articolo 5 vi sono disposizioni molto pericolose in generale e non in riferimento al fenomeno del razzismo o dell'antisemitismo. Penso all'attribuzione agli ufficiali di polizia della facoltà di perquisire immobili dove si sospetti che si svolgano riunioni di carattere razzista, senza alcun tipo di autorizzazione da parte del magistrato, neppure telefonica, in un paese dove tutti hanno il telefono cellulare e i magistrati ormai sono reperibili da qualsiasi giornalista a qualsiasi ora del giorno e della notte. È mai possibile che per l'ufficiale di polizia vi sia una deroga e che non vi sia bisogno dell'autorizzazione, magari semplicemente telefonica (non scritta, per piccione viaggiatore, per fax)
del magistrato? Perché vogliamo introdurre innovazioni delle leggi Cossiga, Reale e di tutto l'armamentario che è stato (magari vi è ancora, in larga misura) nei nostri codici, e cogliere ogni occasione, magari anche quella più nobilmente motivata, per dare ulteriori poteri non contro i fascisti, i razzisti o i nazisti, ma contro tutti, poteri che di volta in volta possono essere tirati da ima parte o dall'altra, a seconda di cosa sarà l'Italia di domani o di dopodomani? All'articolo 5 credo che vi sia un errore di formulazione rispetto a quello che dovrebbe essere lo spirito della norma. Nell'esempio che ho fatto in precedenza si mettevano insieme idee e istigazione alla violenza; nell'articolo richiamato si dispone obbligatoriamente il sequestro per chi detenga esplosivi, armi oppure emblemi. Come è possibile disporre il sequestro in uguale maniera per il possesso di venti chili di tritolo e di cinque gagliardetti fascisti? Mi sembra che questo non possa rientrare nell'intenzione del legislatore. Ma nell'articolo è scritto «ovvero»... GIULIO MACERATINI. Questa parte l'abbiamo eliminata in Commissione. MARCO TARADASH. Però stiamo trattando anche di quanto stabilito originariamente dal decreto- legge. Evidentemente si intende che sia disposto il sequestro quando oltre alle armi si trovino anche emblemi, simboli, e si presuma quindi che vi sia un covo di violenti, di gente che pratica la violenza come strumento della sua politica razzista. Queste sono le perplessità generali che fa nascere il decreto-legge. Ripeto che sono di natura tecnica riguardo a norme una parte delle quali (ma non tutte) sono state modificate in Commissione, e politica circa le intenzioni generali del Governo sul fenomeno. Nel nostro paese, a differenza di altri — questo va sottolineato —, né contro gli extracomunitari né contro la popolazione ebraica vi sono state manifestazioni di razzismo di dimensioni così gravi da far pensare che in Italia vi siano fenomeni reali e diffusi di intolleranza e organizzazioni che realmente abbiano una presa sul territorio e si dispongano ad usare una maggiore violenza. Il rischio, tuttavia, esiste. Il nostro paese è privilegiato rispetto all'immigrazione che, nonostante ciò che alcuni dicono, è stata scarsa e soltanto dal sud; non abbiamo praticamente immigrazione dall'est e non siamo esposti, come in Germania, a centinaia di migliaia di ingressi clandestini ogni anno né abbiamo un residuo coloniale che ci imponga di accettare sul nostro territorio centinaia di migliaia di africani o, comunque, flussi provenienti da ex colonie. Siamo un paese in larga misura salvaguardato dal fenomeno in questione, almeno fino ad ora, ma non possiamo immaginare di esserlo per sempre. Ritengo, dunque, che il Governo debba preoccuparsi di creare le condizioni affinché un domani si possa affrontare l'aumento della pressione degli immigrati. Al di là delle leggi volte ad introdurre numeri chiusi o blocchi che — come sappiamo benissimo —, di fronte alla pressione demografica ed alla fame hanno pochissima efficacia, il Governo dovrebbe attrezzarsi in tema di diritti e di organizzazione sociale, affinché l'impatto della presenza degli immigrati crei il minore disagio possibile agli stessi e, di conseguenza, alle popolazioni residenti. Tra l'altro, in genere sono gli strati meno ricchi e svantaggiati che vengono chiamati a sopportare, oltre alle proprie, anche le difficoltà degli altri. I gruppi di immigrati, infatti, non vengono insediati nel centro storico, a meno che non si tratti del quartiere più devastato della città, come a Genova; generalmente, vengono relegati in periferie prive di attrezzature, servizi, scuole, senza alcuna forma di educazione civica e di assistenza adeguate ad integrarli nella società in cui vengono a trovarsi. Ho indicato quella che, a mio giudizio, è la strada maestra da seguire; poi, servono anche le leggi, anche se — a dir la verità — già ve ne erano, nel nostro paese, ancorché * non applicate. Non vorrei, per altro, che attraverso leggi di polizia si ritenesse, come al solito, di poter surrogare ad un'azione che appartiene invece pienamente alla politica. La polizia non risolve i problemi sociali: e quelli dell'immigrazione e dell'intolleranza da essa derivante sono problemi sociali. Ciò vale per l'immigrazione, per la droga, per la povertà, per tutta una serie di problemi che le nostre società — che siano governate da destra o da sinistra — tendono a risolvere attraverso la repressione piuttosto che per mezzo di interventi integrati che sappiano offrire agli individui, in quanto soggetti di diritto, quelle garanzie che vengono invece loro negate. Questa è la nostra posizione: a seconda degli emendamenti che verranno recepiti esprimeremo voto favorevole o contrario sul provvedimento nel suo complesso.
15giugno 1993:
MARCO TARADASH. Signor Presidente, il gruppo federalista europeo esprime un voto favorevole su questo provvedimento. Nel corso della discussione sulle linee generali avevamo manifestato
gravi perplessità rispetto ad alcuni punti del decreto-legge n. 122, ma il lavoro della Commissione ha fatto cadere gli aspetti peggiori, quelli che ci apparivano pericolosi per l'intera società. È caduto infatti il meccanismo riguardante le norme di prevenzione, è caduta altresì la possibilità di procedere a facili intercettazioni o perquisizioni da parte dell'autorità di polizia; sono stati diminuiti i livelli minimi e massimi delle pene, che consentiranno anche l'erogazione di pene alternative; il sistema del codice di procedura penale non sembra essere stato intaccato. Come abbiamo avuto modo di dichiarare già nel corso della discussione sulle linee generali, non ritenevamo che la situazione fosse tale da richiedere un provvedimento urgente (quale un decreto-legge), perché probabilmente sarebbe stato sufficiente riordinare la materia già contenuta nei nostri codici e farla conoscere meglio allo scopo di contrastare certi reati che con questo testo vengono nuovamente ordinati e formalizza- ti. In ogni caso, sarebbe velleitario ed illusorio pensare di risolvere con norme penali situazioni che potranno invece trovare una via di soluzione soltanto se la politica riprenderà a pieno la sua funzione, e non se la polizia sarà meglio armata. Certo, servono le norme penali, servono gli strumenti per reprimere i reati, ma di fronte a problemi quali quelli del razzismo o dell'antisemitismo o della discriminazione contro i terroni o contro gli extracomunitari ciò che serve non è, in realtà, vietare le disuguaglianze quanto piuttosto promuove- re le uguaglianze. Non so se il Parlamento o il Governo si pongano tali problemi; mi auguro che sia così. Colgo l'occasione per ricordare che le carceri italiane sono strapiene di extracomunitari, per la maggior parte accusati (e probabilmente anche colpevoli), di reati come lo spaccio di droga. La facilità con cui si compie tale reato è una malattia mortale, soprattutto per le classi sociali più deboli, soprattutto per i proletari, soprattutto per gli extracomunitari per i quali l'avanzata costante dei cerchi, delle reti dello spaccio della droga rappresenta una minaccia reale ad ogni possibilità di integrazione. La nostra società deve quindi prendere atto della necessità di eliminare lo spaccio della droga nell'unico modo possibile, sottraendo- la cioè al monopolio delle organizzazioni criminali e trovando forme di controllo nella legalità, che possano ridurre il danno non solo per i consumatori in particolare ma anche dal punto di vista generale della no- stra società. Se vogliamo ridurre i fenomeni di razzismo nei confronti degli extracomunitari, questa è una forma essenziale da seguire perché soltanto chi non sa come si viva in certi quartieri di Genova o di Milano può non rendersi conto di come azioni razziste e violente siano quasi chiamate dalla situazione che si è venuta a creare nell'indifferenza o nell'inettitudine delle autorità (non dico di polizia ma politiche). Dobbiamo perciò ripartire da certi vecchi principi liberali in base ai quali chi paga le tasse ha il diritto di eleggere il proprio rappresentante; conseguentemente dobbiamo dare con urgenza ai cittadini stranieri che risiedono in Italia e pagano le tasse la possibilità di partecipare a pieno titolo ad alcune fasi della vita pubblica del paese. Si tratta di piccoli passi tutti necessari e certamente più efficaci delle norme repressive contenute nel decreto-legge, al quale esprimeremo il nostro voto favorevole con la sensibilità che ho cercato di illustrare e sperando che essa divenga generale (Applausi dei deputati del gruppo federalista europeo).
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