Gemma Gaetani per “la Verità”
La
notizia risale a pochi giorni fa: il concerto del sedicente rapper dal
nome - che è già un manifesto dello spessore del suo immaginario - Bello
FiGo, in programma il 23 dicembre alla Latteria Molloy di Brescia, è
stato cancellato. Conoscendone le «canzoni», verrebbe da dire: «Ci credo
bene. Andrebbe denunciato, altro che ospitato sul palco».
Invece
i motivi ufficiali della cancellazione sono questi: «Al di là delle
possibili polemiche che avevamo messo in conto», hanno spiegato gli
organizzatori dell’evento, «abbiamo ricevuto vere e proprie minacce che
non ci permettono di far svolgere serenamente il concerto e garantire la
sicurezza per il pubblico. Il clima di svago e divertimento che
quell’evento avrebbe dovuto creare è stato irrimediabilmente
compromesso».
Svago?
Divertimento? A sconcertare, in questa vicenda ben diversa da un
fantomatico razzismo degli italiani verso questo ghanese di Parma, in
Italia da che era adolescente, è che si tenda a far passare il rapper
swag (ovvero demenziale) come un artista discriminato per il colore
della sua pelle. Sul web e non solo, anche presso quei punti di
riferimento dell’intellighenziona radical chic come la rivista Rolling
Stone, sono in parecchi a difenderlo, sostenendo che questo presunto
cantante porti avanti intelligenti provocazioni che il gretto pubblico
italiano dal sangue razzista non capirebbe.
Costui
è un ragazzo poco più che ventenne. Ha iniziato la «carriera» col nome
d’arte Gucci Boy, ascendendo nel mondo musicale che si autopromuove su
Youtube con «canzoni» dai titoli quali - perdonate la volgarità, ma è
necessaria a capire di cosa stiamo veramente parlando - Mi faccio una
segha, Stasera scopo, Culo, Tette, Pompini, Mi faccio tua mamma, Ce l’ho
grosso, Ho scopato la sua ragazza.
Dopo
che la casa di moda Gucci lo ha invitato a cambiar nome, si è
ribattezzato Bello FiGo e si è per così dire buttato (seppure emigrato
in Italia da ormai dodici anni) sulla politica, sfruttando la figurina
del «migrante». Ha sfornato una canzoncina orrenda sul referendum
costituzionale, apparentemente a favore di Renzi, un’altra su
Berlusconi. Ma, soprattutto, ha prodotto un brano atroce
sull’immigrazione intitolato Non pago affitto. Ed è quest’ultimo ad
avergli dato ciò che pare bramare più di ogni altra cosa: la celebrità.
Nella
canzone in questione, Bello FiGo si fa «portavoce» degli immigrati
accolti dal nostro Paese, sciorinando una serie infinita di sberleffi
agli italiani: «Io non pago affitto», «Appena arrivati in Italia abbiamo
case, macchine, fighe», «Io non faccio l’operaio / Non mi sporco le
mani», «Sono un profugo», «Matteo Renzi ha detto che è casa nostra /
quindi tutti i miei amici votiamo tutti Pd», «Io dormo in albergo a
quattro stelle», «Vogliamo wifi e anche stipendio».
Secondo
i soliti intellettuali di terza mano sparsi per questo nostro povero
Stivale, si tratta - sentite - di un modo per distruggere gli stereotipi
sull’immigrazione. Ma l’accoglienza negli alberghi è una verità, altro
che stereotipo. Tanto che Bello FiGo, invitato giorni addietro da
Maurizio Belpietro a Dalla vostra parte, ha affermato di cantare cose
vere, cose che i suoi «amici profughi » pensano, e di farlo «tramite le
canzoni per difenderli un po’».
Addirittura,
di fronte ad alcuni cittadini di Rosarno in collegamento, persone che
vivono in una palazzina senza acqua, luce e riscaldamento e facevano
presente «al signor rapper che l’affitto glielo paghiamo noi con le
tasse», ha risposto: «Va bene lo stesso, l’importante è che ce
l’abbiamo». Capito? Nell’ospitata in studio da Belpietro, Bello FiGo si è
preso le sacrosante bordate di una inorridita Alessandra Mussolini.
C’è
però un aspetto di questa faccenda che finora è rimasto sottotraccia,
ma che è fondamentale per capire come sia ridotto questo nostro Paese.
In Non pago affitto, Bello FiGo non si limita a dire che gli immigrati
vogliono il wi-fi e non hanno intenzione di lavorare. Ma pronuncia frasi
come (perdonate ancora la volgarità, ma il testo bisogna conoscerlo per
intero): «Noi vogliamo le fighe bianche / scoparle in bocca», «Ho
bisogno di una figa bianca / perché la mattina mi sveglio sempre con il
c...o duro».
Poi
la minaccia: «Un sacco di fighe bianche saranno scopate», «apri la bocca
ti lancio un po’ di pioggia». Questa è un’istigazione maschilista
all’odio verso le donne. Le donne bianche, per la precisione: quindi è
anche discriminazione razziale. Questo è, inoltre, sessismo, cioè
concezione oggettuale della donna intesa come mero sfogatoio di impulsi
sessuali. Il tutto è ancora più grave perché Bello FiGo pone in canzone
il diritto a reclamare una cosa che realmente accade.
Secondo
il Dossier statistico immigrazione 2016 realizzato dal centro studi
Idos, gli stranieri in Italia commettono il 38,7% delle violenze
sessuali. Le cronache, nel corso degli ultimi anni, ci hanno dato
notizia di stupri, aggressioni e molestie di ogni tipo. Non solo a
Colonia, ma pure nel nostro Paese. Eppure Bello FiGo non si fa alcun
problema nel prendersi gioco delle donne italiane che vengono abusate e
maltrattate. Come si sentirebbe Bello FiGo se un italiano cantasse le
stesse cose rivolte alle donne profughe? A sua madre?
Viene
da chiedersi anche dove stiano i volenterosi difensori della dignità
femminile, sempre pronti a gridare al femminicidio e al sessismo laddove
magari non c’è, e a mettere la testa sotto la sabbia quando c'è ed è di
matrice non italiana. In questo caso, tacciono.
Perché
Bello FiGo appartiene a una minoranza, per quanto aggressiva e
predatrice. Poiché si atteggia a profugo, tutto gli è concesso. Può dire
quello che vuole, può farsi beffe all’infinito degli italiani e,
soprattutto, delle donne italiane come me e moltissime altre. Le cui
tasse pagano davvero la sua accoglienza.
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