martedì 28 ottobre 2014

Legge mancino: gli interventi in aula di E.Modigliani nel 1993

Tratto dal libro La Legge mancino di mda,  copio alcune parti.
15 giugno1993

Passiamo all'emendamento Modigliani 4.3. ENRICO MODIGLIANI. Lo ritiro, signor Presidente, e chiedo di parlare per motivare la mia decisione. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. ENRICO MODIGLIANI. Signor Presidente, ritiro il mio emendamento 4.3 nonché il mio successivo emendamento 4.4, perché essi erano stati presentati allo scopo di rendere sostanzialmente applicabili gli articoli 4 e 5 della cosiddetta legge Scelba, che a seguito di una sentenza della Corte costituzionale sono stati quasi completamente dimenticati nella loro applicazione pratica. Nell'ipotesi in cui tale legge fosse stata richiamata, insieme alle altre che sono entrate a far parte del provvedimento al nostro esame, e cioè la legge n. 654 e la n. 962, sarebbe stato necessario rendere applicabili quegli articoli. Poiché la Commissione a maggioranza — personalmente mi sono astenuto — ha deciso di escludere l'esplicito riferimento alla legge Scelba da questo corpo di norme, automaticamente i miei emendamenti 4.3 e 4.4 perdono di valore e quindi li ritiro. Gli argomenti che ne costituiscono l'oggetto potranno eventualmente essere esaminati in altra sede.
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Passiamo alla votazione dell'emendamento Modigliani 6.7. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Modigliani. Ne ha facoltà. ENRICO MODIGLIANI. Signor Presidente, il mio emendamento 6.7 si propone di reintrodurre il testo del secondo periodo del comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge, soppresso dalla maggioranza della Commissione. Quel testo prevedeva la possibilità per il giudice, nell'udienza di convalida, qualora ne ricorressero i presupposti, di disporre l'applicazione di una delle misure
coercitive previste dalla legge. Con il mio emendamento, dunque, si darebbe al giudice il potere discrezionale di applicare le misure coercitive, cosa che, in presenza di un arresto obbligatorio in caso di flagranza, sembra coerente. Parrebbe incoerente, invece applicare il testo così come modificato dalla Commissione. PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Indico la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Modigliani 6.7, non accettato dalla Com- missione né dal Governo. (Segue la votazione). Dichiaro chiusa la votazione. Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge. (Presenti 325 Votanti 323 Astenuti 2 Maggioranza 162 Hanno votato sì 12 Hanno votato no 311) 
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Modigliani. Ne ha facoltà. ENRICO MODIGLIANI. Signor Presidente, a nome del gruppo repubblicano e mio personale dichiaro il voto favorevole sul disegno di legge di conversione n. 2576. Ricordo come il suo iter sia cominciato nel lontano autunno dello scorso anno, quando ebbi l'onore di coordinare un gruppo di lavoro del quale hanno fatto parte numerosi deputati di tutti i gruppi, preoccupati di fronte alla situazione che si stava determinando. L'opinione pubblica era particolar- mente colpita per gli episodi che si erano verificati non solo in Germania — ricordo i primi fatti di Rostock, nella Germania orientale — ma anche nel resto dell'Europa e qui in Italia. Quel gruppo di lavoro ha affrontato il problema cercando di studiare la situazione della legislazione attuale ed arrivando ad una conclusione che contemporaneamente è stata in qualche modo contraddetta dalle prime iniziative del Governo, il quale era invece giunto a conclusioni opposte, e cioè alla necessità di emanare una nuova normativa che si aggiungesse alle numerose già esistenti ma del tutto inapplicate, anche perché non conosciute dai giudici. Mi riferisco, ad esempio, alla legge n. 654 del 1975 che è stata alla base del testo legislativo oggi al nostro esame e che in tutta la sua vita è stata
applicata una sola volta. Altre leggi non sono state applicate affatto, ed altre ancora, come la legge n. 101 del 1989, che già aggiungeva il concetto di discriminazione di carattere religioso alle altre discriminazioni qui richiamate (di tipo razziale, nazionale ed etnica), risultano totalmente sconosciute, perché leggi non penali e quindi non portate a conoscenza dei giudici. Il lavoro di questo gruppo ha dunque avuto il merito di convincere, lungo la stra- da, il Governo a modificare la sua impostazione e a rinunciare ad una nuova legge che fosse una legge bandiera da aggiungersi alle altre già esistenti, destinata a non essere mai applicata (in una prima versione era stata addirittura prevista l'introduzione di un nuovo reato di vilipendio). Così, il disegno di legge presentato alla fine dell'anno scorso era già sostanzialmente simile alle nostre proposte. Nel corso dei lavori della Commissione — lavori che procedevano in sede legislativa e che se fossero continuati avrebbero abbreviato e non allungato i termini dell'approvazione di questo provvedimento — il testo è stato ulteriormente migliorato, tanto è vero che il decreto-legge presentato il 26 aprile riconosceva sostanzialmente l'impostazione del nostro gruppo, che voleva partire proprio dalle leggi esistenti, predisponendo una specie di testo unico e non una nuova legge. E questo è il decreto-legge n. 122 portato alla nostra attenzione in Commissione, nella quale sono stati compiuti ulteriori passi in avanti (già ne hanno parlato i colleghi e pertanto non mi dilungherò su questo aspetto). Vorrei semplicemente ricordare come l'impostazione di ricorrere piuttosto ad attenuazioni delle pene, soprattutto le massime, e all'introduzione di pene sostitutive abbia avuto il pregio di rendere la legge non solo più moderna nella sua concezione, ma anche sostanzialmente meglio applicabile. Tuttavia, non illudiamoci assolutamente che una legge come questa possa minima- mente risolvere i problemi che hanno spinto il Parlamento ad occuparsi del tema della discriminazione razziale, etnica e religiosa; infatti, il problema non è quello della repressione — lo ha già ricordato il collega Taradash — perché non credo che con il proibizionismo in questo e in altri campi si possano ottenere vantaggi e risultati positivi. Il vero problema dovrà essere affrontato sul piano sociale e culturale; sul piano sociale, perché il nostro paese sta attraversando un periodo di profonda trasformazione: da paese di emigranti ci siamo trasformati quasi improvvisamente in paese di ospitanti, e ancora non siamo attrezzati per fronteggiare questo tipo di problema. Non sappiamo ancora come convivere con i diversi, non sappiamo ancora cogliere i vantaggi della diversità e delle minoranze che in una socie- tà costituiscono spesso il sale e lo stimolo ai confronti. Ma soprattutto verso gli extracomunitari continuiamo a tenere un tipo di atteggia- mento che ci fa al massimo raggiungere la cultura della tolleranza, considerata come un valore, mentre invece quest'ultima è un disvalore, perché è la cultura del rispetto che dobbiamo acquisire e non soltanto quella della tolleranza. Ricordo che in merito a tali argomenti si è assistito ad una evoluzione non poco significativa nell'atteggiamento dello Stato nei confronti delle culture e delle religioni di minoranza. Con lo Stato unitario si è parlato di culti tollerati; più tardi, nel 1929, di culti ammessi, e soltanto con la Costituzione si è parlato di uguaglianza delle religioni di fronte alle leggi. Adesso dall'uguaglianza bisogna passare a qualcosa di più, cioè alla valorizzazione e quindi al rispetto della diversità. Si tratta di un problema che personalmente avverto in modo molto intenso. In altre epoche, infatti, ho vissuto sulla mia pelle certe esperienze, quando lo Stato ha fatto propria una legislazione del tutto opposta a quella attuale, cioè una legislazione razziale. Sento quindi il dovere e l'obbligo di intervenire in difesa di quelli che oggi sono i diversi, gli emarginati, che in una situazione sociale difficile potrebbero essere oggetto di discriminazione e considerati i nemici, i possibili capri espiatori, al fine di sfogare il disagio connesso a difficoltà sociali. In una situazione economica diffìcile come quella del nostro paese e del resto dell'Europa, tali difficoltà sociali potrebbero far esplodere nelle classi più emarginate episodi di violenza. È importante intervenire non solo sul piano sociale, ma anche sul terreno cultura- le, soprattutto sul versante dell'insegnamento della storia. Voglio ricordare che è stato presentato un ordine del giorno che richiama tale esigenza. Il Governo, il Parlamento e lo Stato stesso non possono pensare di aver risolto il problema con un decreto-legge quale quello che ci apprestiamo a votare; al massimo potrebbe trattarsi di un modo per scaricare la propria coscienza. L'insegnamento e lo studio della storia sono essenziali, e noi sappiamo benissimo che i nostri giovani non conoscono assolutamente la storia degli ultimi anni, ma al massimo (è un test che è facile fare ogni qualvolta ci si trovi di
fronte ad un giovane) arrivano a studiare la prima guerra mondiale. I giovani ignorano del tutto i fatti che hanno portato alla creazione dello Stato italiano attraverso l'esperienza del fascismo, dell'antifascismo e della Resistenza, fino alla nascita della nostra Repubblica. Questo è un fatto gravissimo, perché consente anche una forma perversa di storia, il revisionismo storico, il quale tenderebbe (abbiamo sentito esprimere spesso tale posizione anche dai banchi del gruppo del Movimento sociale italiano) a negare l'esistenza, nel regime fascista, non tanto di una legislazione introdotta solo per favorire l'alleato tedesco, quanto di una legislazione razziale nel nostro paese. Tale legislazione, in realtà, è stata non solo promulgata, ma applicata in tutte le sue esplicazioni. Non voglio dilungarmi oltre, ma solo ricordare come sia essenziale per il Parlamento che l'insegnamento della storia venga considerato altrettanto importante dell'approvazione del disegno di legge di conversione che ci apprestiamo a votare.

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